Riceviamo da Ufficio Stampa Slow Food e volentieri pubblicchiamo.
L’arancia belladonna cresce nella frazione di Villa San Giuseppe del Comune di Reggio Calabria. Ci troviamo a nord del centro della città, nell’area del fondovalle compresa tra le fiumare del Gallico e del Catona, due corsi d’acqua che dall’Aspromonte scendono fino allo Stretto di Messina. Se resta misteriosa l’origine del nome, note – e degne di nota – sono le caratteristiche di questo frutto: si tratta di una varietà di arance tardive, che giungono a maturazione tra aprile e maggio. Hanno pezzatura media, che si aggira intorno ai 200 grammi, forma ovoidale e buccia sottile: il frutto, ottimo da mangiare fresco, può anche essere trasformato in marmellate e scorzette candite. La polpa dell’arancia belladonna è bionda, molto ricca di succo e con pochissimi semi. Proprietà organolettiche che, fin dall’Ottocento e per tutta la prima metà del secolo scorso, ne hanno assicurato il successo: «Fino agli anni ‘70 questa coltura produceva un reddito importante e rappresentava una voce significativa del comparto agricolo della nostra provincia, perché il prezzo corrisposto era superiore a quello di altri prodotti» spiega Franco Saccà, referente Slow Food del Presidio.
Le arance dello zar
La gestione degli aranceti avveniva in colonìa, cioè con la concessione dei terreni da parte dei grossi proprietari terrieri ai coloni, che lavoravano negli appezzamenti. Il superamento di questo modello, la conseguente frammentazione della proprietà, la sostituzione della belladonna con varietà commercialmente più popolari e precoci come l’arancia tarocco, e anche il progressivo abbandono dell’agricoltura in favore di altri mestieri hanno contribuito alla perdita della belladonna.
L'arancia belladonna, dalla forma ovoidale. Foto di Alberto Carpino
A pochi chilometri dal centro di Reggio Calabria nascono le arance belladonna di San Giuseppe. Foto di A. Carpino
Quelli che da queste parti ancora adesso vengono chiamati giardini, cioè gli aranceti, oggi non superano l’ettaro come superficie, e rappresentano produzioni marginali per le aziende agricole che difficilmente potrebbero basare la propria sussistenza economica su questa varietà. «È un peccato, anche perché anticamente l’arancia belladonna veniva esportata ovunque, sia in Italia sia all’estero. Si dice addirittura che fosse sulla tavola degli Zar di Russia – continua Saccà –. L’abitudine a esportare queste arance era così consolidata che ancora oggi si usa misurare il raccolto in “vagoni”, cioè nei carichi che un tempo partivano dalle stazioni ferroviarie delle località di Gallico e Catona, pari a 300 quintali».
Il valore della vita di comunità
«La belladonna è in via d’estinzione a causa dell’abbandono degli appezzamenti da parte dei produttori, avvenuto perché questa arancia ha smesso di essere remunerativa – sintetizza Francesco Caridi, referente dei cinque produttori che aderiscono al Presidio Slow Food –. Allo stato attuale, difficilmente si recuperano i costi di produzione. Perché, allora, lo faccio? Mi spinge l’eccellenza del prodotto e il fatto che l’arancia esprime l’identità del nostro paese: la vita, da queste parti, per lungo tempo ha girato attorno a questo frutto». La produzione, sommando i cinque produttori che aderiscono al Presidio, si attesta intorno ai cinque-seicento quintali: «C’è l’annata in cui le piante sono cariche e quella in cui le arance si contano sulle dita di una mano – conclude Caridi – quindi negli anni, per cercare di mantenere in vita le aziende agricole, abbiamo diversificato». Il Presidio Slow Food, in questo come in tutti gli oltre 365 altri casi in giro per l’Italia, nasce per sostenere una produzione, difenderla dall’estinzione, promuoverne la conoscenza e lo sviluppo commerciale: un riconoscimento non fine a sé stesso, ma un vero strumento in grado di attivare microeconomie locali, far nascere e crescere filiere locali, difendere il suolo dall’abbandono e dal rischio idrogeologico che ne deriva e assicurare sovranità alimentare alle comunità che lo abitano.
Il Presidio Slow Food dell'arancia belladonna di San Giuseppe è sostenuto dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria.