Amarcord di Giuseppe Casagrande
Fu lo chef del Ristorante trentino "Ja Navalge" (Moena) ad insegnare i primi rudimenti del mestiere ad un ragazzo patavino che poi a 28 anni, primo al mondo, conquisterà le mitiche Tre Stelle Michelin.
Da alcuni giorni è in libreria un volume monumentale sulla storia dell'alta ristorazione mondiale dagli inizi del Novecento ai giorni nostri raccontata attraverso le «stelle» Michelin assegnate dalla mitica Guida Rossa francese. Una vera e propria enciclopedia di 720 pagine (Maretti editore) curata da un amante della buona tavola, Maurice Von Greenfields. La guida Michelin, che nel corso degli anni ha decretato la fortuna o la disperazione (numerosi i suicidi tra gli chef bocciati) di molti ristoranti, uscì per la prima volta nel 1900 a Clermont-Ferrand, sede dello stabilimento di pneumatici della Michelin, come ausilio per gli automobilisti con le indicazioni sulle officine e sui carrozzieri cui rivolgersi in caso di necessità.
Qualche anno dopo furono inseriti gli indirizzi degli alberghi dove fermarsi e in epoca successiva i ristoranti consigliati. Il logo delle mitiche stelle vide la luce nel 1933 ed era riservato alla sola Francia (oggi sono 30 i Paesi recensiti nel mondo). L'edizione italiana uscì nel 1956 con poche e parziali indicazioni, mentre le prime stelle furono assegnate nel 1959. Quell'anno, tra le 87 stelle tricolori della Guide Rouge figurava (assieme ai 12 Apostoli di Verona, all'Elephant di Bressanone, alla Locanda Cipriani di Venezia, al ristorante Fini di Moena, alla Clinica Gastronomica da Arnaldo, Rubiera, solo per citarne alcune) anche l'Astoria di Trento del mitico «Marietto», ristorante famoso per il carrello dei bolliti, e albergo di charme che ospitò tra gli altri anche Winston Churchill con signora e relativo seguito. Perché la prima «stella» proprio a Trento, si chiederà qualcuno. La motivazione è semplice: nel 1927 a Trento fu inaugurato uno dei più grandi stabilimenti europei dell'azienda di pneumatici di Clermont-Ferrand, poi chiuso nel 1997, per cui la Città del Concilio all'epoca - conferma l'ex direttore della Guida Michelin Italia Fausto Arrighi - era frequentata anche da funzionari e ispettori francesi.
Tra i ricordi in chiave trentina legati alla Guida Michelin merita sicuramente di essere citato l'incontro avvenuto nel 2004 al Ristorante "Le Calandre" di Sarmeola di Rubano (Padova) tra lo chef della Val di Fassa Alfredo Chiocchetti e il pluristellato Massimiliano Alajmo al quale tre anni prima, all'età di soli 28 anni, primo al mondo, i severi ispettori della guida francese avevano assegnato il riconoscimento più prestigioso: le Tre Stelle. Ero stato invitato anch'io quel giorno (era inizio dicembre) assieme al collega enogastronomo patavino Renato Malaman. Pretesto: i duplici festeggiamenti in onore di Alfredo Chiocchetti, che da pochi giorni aveva riconquistato la stella a Trento, allo "Scrigno del Duomo" (poco dopo il rientro da una entusiasmante parentesi in terra polacca) e dell'allievo prediletto dello chef fassano, Massimiliano Alajmo, che per il terzo anno consecutivo si era confermato superstar nell'Olimpo italiano e mondiale della cucina (quest'anno Massimiliano festeggia i 20 anni consecutivi di chef "tristellato" Michelin).
Pochi sanno che fu proprio Alfredo Chiocchetti, chef patron del ristorante stellato "Ja Navalge" di Moena ad insegnare (era il 1988) i primi rudimenti del mestiere al quel ragazzotto alto due metri che papà Erminio da Padova aveva spedito in Val di Fassa ad imparare i segreti della cucina innovativa mentre la moglie Rita, mamma di Massimiliano, continuava a presidiare i fornelli delle "Calandre", Corsi e ricorsi storici. Bene, quel giorno di dicembre, a insaputa di Massimiliano, suo ex garzone di bottega, ormai diventato una star della ristorazione mondiale, Alfredo si presenta alle "Calandre" accolto dal fratello sommelier Raffaele. Mentre Massimiliano era in cucina, noi ci accomodiamo nel salottino e nell'attesa Raffaele apre una bottiglia di Champagne. Brindiamo. Dieci minuti dopo, forse per curiosare chi era entrato, Massimiliano esce dalla cucina e quando scorge Alfredo seduto, corre incontro al suo mentore, si inginocchia ai suoi piedi e poi lo abbraccia. Scena indimenticabile. Dopo averci salutato, torna ai fornelli per preparare le leccornie del giorno.
Entriamo in sala da pranzo alle 13.30, usciamo alle 18.30 dopo aver assaggiato nonventi, ma almeno trenta piatti d'autore (naturalmente in versione "bonsai", metafora che il critico gastronomico Luigi Cremona ama usare quando recensisce i piatti dei ristoranti Michelin) con Raffaele che si divertiva a stappare bollicine a go go e grandi vini d'annata. Durante il pranzo Alfredo ci confessa: "Massimiliano talvolta mi faceva arrabbiare, ma già allora avevo intuito dalle piccole cose (come lavorava i prodotti più umili, le verdure, le patate, come utilizzava le erbe spontanee) le potenzialità di quel ragazzo. Maledettamente bravo. E avevo capito quanto amava questa professione. Meritati i riconoscimenti internazionali ricevuti, ma credetemi il suo successo non è dipeso dai miei insegnamenti, ma dal suo talento, cristallino". A fine pranzo, quando riferiamo a Massimiliano le parole d'elogio espresse da Chiocchetti, replica: «Alfredo è il solito modesto. Ma non gli crede più nessuno. Lui mi ha lasciato molto, molto di più che una lezione di cucina, mi ha trasmesso dei valori. E' stato un vero maestro". Mentre Alfredo si commuove, io e il collega Malaman applaudiamo e a quel punto Raffaele stappa come omaggio al Trentino, un Giulio Ferrari Riserva del Fondatore - noblesse oblige - per il brindisi finale che chiude questa indimenticabile giornata.