Il 15 maggio, a 20 anni dalla morte del padre della critica enogastronomica, poeta del vino e del cibo, ambasciatore del made in Italy, nonchè maestro di giornalismo, a Bergamo sarà inaugurato il "suo" luogo del cuore.
Vent'anni fa, in una fredda giornata di fine novembre, moriva a Bergamo Luigi "Gino" Veronelli, poeta del vino e del cibo, il padre della critica enogastronomica, maestro di giornalismo per tutti noi amanti della buona tavola. Aveva 78 anni. Se ne è andato in punta di piedi ben prima dei 100 anni che si era posto come traguardo. Figlio di un industriale chimico milanese, era nato nel quartiere meneghino dell'Isola il 2 febbraio 1926.
Ambasciatore ante litteram del made in Italy (prima, molto prima di Slow Food, del Gambero Rosso e di Eataly), filosofo illuminato e rivoluzionario, anarchico coraggioso e irriverente, eretico enoico come lui stesso amava definirsi (non enologo, cioè tecnico di cantina, come taluni semplicisticamente ed erroneamente lo definivano) ha lasciato tracce indelebili ed un'eredità sul piano filosofico-culturale che il Seminario Permanente Luigi Veronelli sta portando avanti con passione nel solco tracciato dal maestro.
Amava ripetere: "La vita è troppo breve per bere vini cattivi"
Per chi volesse approfondire la figura di Veronelli consigliamo la lettura del bellissimo volume "La vita è troppo corta per bere vini cattivi" (Giunti editore). Non è una biografia, piuttosto un affresco sull'uomo Veronelli. Un giornalista? Sì, ma è riduttivo. Uno scrittore? Sicuramente. Un amante della buona tavola che si è ocupato di vini e di cibi? Certamente. Ma soprattutto un amante del "bien vivre" e un cantore straordinario della bellezza, della libertà, dell'amicizia, dell'amore, dell'eros. Un rivoluzionario? Come negarlo visto che ha cambiato il mondo dell'enogastronomia. Un politico? No. Lui, anarchico impenitente, aborriva i politici. Un filosofo? Sì, ma non saccente, nè cattedratico.
L'incontro all'Hotel Savoy di Londra con Carnacina e le due uova al burro
Citazioni e aneddoti (molti inediti) si intrecciano in questo libro ricco di riflessioni seguendo il "fil rouge" di una vita spesa a difendere le istanze dell'Italia rurale e dell'universo contadino. Tra gli aneddoti si ricorda il suo primo contatto con il vino, offertogli dal padre il giorno della Prima Comunione con la raccomandazione di "berlo con cura poichè dentro il bicchiere c'è la fatica di chi coltiva la vigna" e l'incontro con il famoso maître Luigi Carnacina. Formatosi sui banchi del Liceo Classico Parini, si distinse in particolare nelle materie umanistiche e a tal proposito si racconta che abbia sostenuto l’esame di maturità parlando esclusivamente in greco antico. Come regalo il padre gli regalò un soggiorno all’Hotel Savoy di Londra e la prima sera – spavaldo e spaccone – ordinò il piatto più caro del ristorante. Grande fu la sorpresa quando, scperchiata la cloche, gli furono servite due uova al burro. Piccato, ne chiese conto al maître: "Sì, le uova al burro sono il nostro piatto più caro – fu la risposta – poiché dentro ci sono la sapienza, l’esperienza e la ricerca della perfezione dello chef Cesare Balestreri." Una lezione di vita. Quel maître era Luigi Carnacina, il celeberrimo gastronomo con il quale in seguito lo stesso Veronelli collaborò per la stesura di uno dei più famosi manuali di cucina.
Il rapporto con il vino, la musica, le arti e le trasmissioni tv con Ave Ninchi
Il volume della Giunti si presenta in forma di libro-puzzle: sono frammenti, rigorosamente in ordine alfabetico (l’unica regola mai infranta da Veronelli: esiste l’alfabeto, è così semplice, così chiaro, così condiviso) e ricomponibili attraverso il suo rapporto speciale con il vino, la lettura, la scrittura, l’editoria, la musica, le arti, la filosofia. Libri, interventi, poesie, anagrammi, trasmissioni tv (con Mario Soldati, Gianni Brera e Ave Ninchi). Tutto questo è racchiuso in quest’opera monumentale. A Gian Arturo Rota e Nichi Stefi, accomunati dagli stessi ideali, va il merito di averci trasmesso un ritratto del Veronelli reale, egocentrico e generoso, puntiglioso e permissivo, istintivo e razionale. In una parola schietto come i vini che amava.
La rivoluzione culturale e le battaglie per il recupero dei vitigni autoctoni
Il vino italiano deve gran parte del proprio successo nel mondo alle sue intuizioni e alla rivoluzione culturale ed enologica di cui è stato lungimirante alfiere e tenace promotore. Gli effetti delle sue battaglie oggi sono ancora visibili a distanza di decenni. La teoria dei cru, l’elevazione in barrique «solo» dei grandi vini, la limitazione delle rese per ettaro, il recupero dei vitigni autoctoni, la vinificazione in loco, la classificazione dei vini con puntuali esami organolettici, la distillazione con alambicco discontinuo e secondo «monovitigno», le crociate sull’olio e sulle denominazioni comunali sono solo alcune delle guerre (con relative vittorie) condotte in cinquant’anni di attività. Portò in tribunale anche la Coca Cola perchè in etichetta non specificava gli ingredienti della bevanda.
Inventò un linguaggio: vino di pronta beva, vino dialettico, vino opulento
Dentro ogni bottiglia di vino – amava ripetere – dentro ogni prodotto tipico, nel lavoro di chi coltiva la terra e ne trasforma i prodotti, c’è una storia, c’è un territorio, ci sono paesaggi rurali, ma soprattutto ci sono uomini e comunità, con i loro saperi, le loro culture e loro identità. «Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale» amava ripetere quando assaggiava certi vini blasonatissimi, ma privi d’anima. Vini che descriveva con un linguaggio che è ormai entrato nella storia della critica enologica: vino di pronta beva, vino dialettico, vino dal nerbo viperino, vino opulento, vino da meditazione (riferito ai grandi vini passiti).
Amava esorcizzare la morte con gli amati "vini da meditazione"
Per esorcizzare la morte teneva sul comodino un Picolit (grande vino da meditazione) della leggendaria contessa friulana Giuseppina Perusini Antonini, proprietaria di Rocca Bernarda, morta all’età di 101 anni e un Porto Quinta de Resurressi del 1926 (sua data di nascita) che gli ricordava una notte d’amore con una splendida signora portoghese. Alla fine si è consolato con una bottiglia di «Scaccomatto» (Albana Passito della Fattoria Zerbina di Faenza). Siamo sicuri che se la sarà goduta a piccoli sorsi nell’ora del trapasso.
Il 15 maggio in un ex convento di Bergamo l'inaugurazione del luogo del cuore
Nei giorni scorsi a Vinitaly è stato annunciato che a Luigi Veronelli, una delle personalità italiane più illuminate ed eclettiche di tutti i tempi, a 20 anni dalla morte, sarà dedicato un "cenacolo" culturale, punto di riferimento del suo vasto sapere sul vino, sul cibo e sui territori che ha accompagnato sostenendo le produzioni agroalimentari e la cucina italiana di qualità dal secondo Dopoguerra fino agli anni Duemila, educando generazioni di italiani alla cultura della terra e della tavola. Nasce così "Il Veronelli", il luogodel cuore, fisico e simbolico, che accoglierà e raccoglierà l'immenso patrimonio culturale di Luigi Veronelli. La sede è l’ex Convento dei Neveri, a Bariano (Bergamo) città elettiva di uno dei protagonisti della cultura materiale della seconda metà del Novecento, padre indiscusso della critica enologica e gastronomica, maestro del giornalismo enogastronomico, nonchè ispiratore di moltissimi produttori.
Il Seminario Permante Veronelli e la leggendaria cantina del mitico Gino
A raccontare "Il Veronelli", nella presentazione in anteprima, il 15 maggio 2024, saranno personalità come Antonella Benini, proprietaria dell’ex Convento dei Neveri, Gian Arturo Rota, responsabile de "Il Veronelli", Aldo Colonetti, filosofo, storico e teorico dell’arte, del design e dell’architettura, Angela Maculan, presidente del Seminario Permanente Luigi Veronelli, Domenico Egizi, direttore artistico della Fondazione dei Neveri, e Luca Mazzoleni che si occuperà della gestione del "cenacolo" e degli event. Per l’occasione guiderà una esclusiva degustazione di vini della leggendaria cantina di Gino Veronelli.
In alto i calici. Prosit!
di Giuseppe Casagrande